Decreto legge 17 marzo 2020, n. 18. Disposizioni urgenti per fronteggiare la pandemia da COVID-19
Quella delle carceri ai tempi del Covid-19 è una “emergenza al quadrato”, umana e sanitaria.
L’attuale emergenza sanitaria espone lo Stato – titolare di una “posizione di garanzia” giuridicamente rilevante nei confronti dei soggetti sottoposti ad esecuzione penale carceraria – al concreto rischio di non poter più assicurare, all’interno degli istituti, un’adeguata tutela e assistenza sanitaria non solo ai detenuti ma anche agli operatori penitenziari dell’area amministrativa, agli assistenti sociali e al personale della Polizia penitenziaria.
Anche a fronte di tale rischio, il Governo ha adottato, con il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18,disposizioni urgenti per fronteggiare la pandemia da COVID-19.
Alcune di esse riguardano la materia dell’esecuzione penale ed hanno lo scopo di arginare la difficile situazione venutasi a creare all’interno degli istituti penitenziari, nei quali le condizioni detentive sono spesso caratterizzate da patologiche situazioni di sovraffollamento che potrebbero aggravare il rischio di contagio se il virus dovesse infettare – come ha iniziato a fare – anche chi si trova in questo momento, per ragioni di giustizia o di servizio, in un istituto di pena.
I provvedimenti assunti dal Governo per fronteggiare l’emergenza da contagio COVID-19 e riguardanti la situazione delle carceri sono contenuti in due articoli che trovano spazio nella parte finale del decreto d’urgenza. Il primo di essi, l’art. 123, introduce disposizioni in materia di detenzione domiciliare mentre il secondo, l’art. 124, riguarda licenze premio straordinarie per i detenuti ammessi al regime di semilibertà.
Iniziamo subito ad esaminare le caratteristiche peculiari della speciale detenzione domiciliare introdotta dal Decreto Cura Italia.
La detenzione domiciliare ex art. 123 D.L. n. 18/2020: condizioni applicative
La nuova detenzione domiciliare ex art. 123 introduce alcune modifiche alla disciplina dell’esecuzione della pena presso il domicilio di cui alla legge 26 novembre 2010, n.199.
La ratio della norma, come si legge nella relazione illustrativa al decreto, è, infatti, quella di estendere il modello operativo nato nel 2010 per ridurre il cronico sovraffollamento a cui si unisce oggi «l’emergenza sanitaria che all’interno degli istituti penitenziari può tanto più agevolmente può essere gestita quanta minore è la popolazione carceraria».
La legge 199/2010 era uno dei “pilastri” sui quali si articolava il “Piano carceri” varato dal Governo per affrontare l’emergenza del sovraffollamento penitenziario.
Successivamente stabilizzato ad opera dell’art. 5 del d.l. 23 dicembre 2013, n.146, il provvedimento si è dimostrato strumento utile a contenere il progressivo aumento dei detenuti negli stabilimenti penitenziari (secondo i dati del Ministero, dalla sua applicazione ad oggi hanno usufruito della esecuzione domiciliare oltre 27.000 condannati).
L’incipit dell’art.123 del d.l. n. 18/2020 stabilisce che l’efficacia delle nuove disposizioni è “a tempo” essendo operativa «dalla data di entrata in vigore del presente decreto [cioè dal 18 marzo 2020] e fino al 30 giugno 2020» (comma 1).
Il medesimo comma 1 dell’art. 123 in esame circoscrive l’area di potenziale applicazione dell’istituto – con perfetta sovrapposizione a quanto già dispone la l. 199/2010 – ai casi in cui la pena in esecuzione non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena. Inoltre, precisa che la misura domiciliare in esame non può essere applicata dal magistrato di sorveglianza di ufficio, ma solo “su istanza” (dunque, dell’interessato o del suo difensore).
Esclusioni soggettive dal beneficio
La norma, a seguire, da spazio ad un “catalogo” delle esclusioni soggettive dal beneficio.
Prima di procedere alla enumerazione delle esclusioni, va rammentato che in merito trova applicazione il principio generale dello “scioglimento del cumulo di pene”, con imputazione della parte di pena già espiata al titolo di reato eventualmente ostativo al fine di verificare, se la parte residua, una volta operato lo scorporo, consenta l’applicazione del beneficio domiciliare.
Sono esclusi dall’applicazione del beneficio:
- soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni e dagli articoli 572(maltrattamenti in famiglia) e 612-bis (c.d. stalking) del codice penale;
- delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale;
- detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell’articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall’articolo 14-ter della medesima legge;
- detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati per le infrazioni disciplinari di cui all’articolo 77, comma 1, numeri 18,19, 20 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Si tratta delle infrazioni disciplinari relative all’appropriazione o danneggiamento dei beni dell’amministrazione; al possesso o traffico di strumenti atti a offendere; all’atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono nell’istituto per ragioni del loro ufficio o per visita; alla partecipazione o promozione di disordini o sommosse; all’evasione; ai fatti previsti dalla legge come reato, commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori;
- detenuti nei cui confronti sia redatto rapporto disciplinareai sensi dell’articolo 81, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse a far data dal 7 marzo 2020. Si tratta di una fattispecie “aperta”, nel senso che vi si comprende qualunque rapporto disciplinare subito dal detenuto in rapporto a qualsiasi violazione disciplinare (a prescindere, cioè, dall’oggettiva gravità) purché in correlazione con le recenti rivolte. Tale preclusione scatterà testualmente anche nell’ipotesi che si dovessero verificare ulteriori episodi violenti nel periodo di vigenza della disciplina di nuovo conio (cioè fino al 30 giugno 2020).
- detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneoanche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato. L’apprezzamento di tale delicato profilo – come accade attualmente –non potrà che essere valutato discrezionalmente dal magistrato di sorveglianza in esito a un’istruttoria (essenzialmente imperniata sull’acquisizione della sentenza di condanna e di informazioni dettagliate da parte delle forze dell’ordine).
Va osservato, per completare il novero delle ipotesi di esclusione dal nuovo beneficio, che ai sensi del seguente art. 124, ad esso non potrà accedere un’ulteriore categoria di detenuti: coloro che hanno subito la revoca di un beneficio penitenziario negli ultimi tre anni, attesa l’applicabilità anche alla nuova disciplina delle prescrizioni di cui all’art. 58-quater, l. 354/1975, il cui disposto non è stato modificato e deve ritenersi applicabile alla nuova disciplina (art. 124, comma 5).
Esaurendo la disamina dei presupposti applicativi, si rileva che la nuova disciplina nulla prevede per i tantissimi casi di detenuti che – pur potenziali fruitori del beneficio domiciliare – non dispongono di un domicilio idoneo. Si tratta di molti detenuti stranieri, dei soggetti senza fissa dimora, delle persone che le famiglie di origine non sono disposte ad ospitare.
Per questo nutrito numero di detenuti, che già oggi non accedono, se non in casi sporadici, ad alcun beneficio penitenziario, si prospetta una sorta di preclusione “di fatto” all’accesso all’esecuzione esterna che può rappresentare un limite all’effettività della misura.
Il secondo comma dell’art. 123, con una clausola di chiusura, stabilisce inoltre che il magistrato di sorveglianza adotta il provvedimento che dispone l’esecuzione della pena presso il domicilio, salvo che ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura.
Si tratta di una disposizione oscura nel contenuto, risultando difficile immaginare altri gravi motivi oltre a quelli già indicati nel comma 1.
Sicuramente non sono riconducibili in tale clausola il pericolo di fuga o di commissione di nuovi reati (contemplati dalla disciplina ex L. 199/2010); diversamente, al magistrato di sorveglianza verrebbe richiesta quella valutazione che il legislatore ha sottratto a monte al giudice (come si evince dalla relazione illustrativa). Pertanto, si ritiene che a tale clausola vadano semmai ricondotti casi limite in cui occorre fronteggiare “gravi” e, quindi, eccezionali ragioni di sicurezza pubblica.
Profili esecutivi
Il comma 3 dell’art. 123 stabilisce che alla misura (salvo si tratti di condannati minorenni e di condannati la cui pena da eseguire non sia superiore a sei mesi) è applicata la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari.
Tale procedura di controllo, subordinata all’espresso consenso del condannato, è disattivata quando la pena residua scende sotto i sei mesi.
Sembra, pertanto, che sul profilo dell’applicabilità dei mezzi di controllo (c.d. “braccialetto elettronico”) non sussista discrezionalità del magistrato, costituendo tale ausilio un apparato obbligatorio di tutte le misure da applicare superiori ai sei mesi di pena residua.
Deve, in conseguenza, ritenersi che se, per effetto della sopravvenienza di un nuovo titolo esecutivo, la pena discesa sotto i sei mesi risalisse nuovamente oltre tale soglia, lo strumento di controllo dovrebbe essere nuovamente ripristinato.
La previsione in questione presta il fianco ad una grave critica.
Infatti, stante la cronica carenza dei suddetti dispositivi elettronici e l’incerta prospettiva di un loro aumento (il comma 5 dell’art. 123 prevede che il numero dei «mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici da rendere disponibili» sia calcolato «nei limiti delle risorse finanziarie disponibili», che non verranno implementate a fronte della clausola di invarianza finanziaria inserita nel successivo comma 9) è concreta l’eventualità che si creino delle “liste di attesa” di detenuti destinatari di provvedimenti di esecuzione domiciliare con effetti deleteri sull’effettività della misura sul fronte della rapida riduzione del sovraffollamento.
Il perno della fase esecutiva è individuato nella direzione dell’istituto penitenziario su cui incombe, al netto della “relazione prevista dall’art. 1, comma 4, legge 26 novembre 2010, n. 199” (si tratta della relazione sulla condotta tenuta dal detenuto) che può essere omessa, l’obbligo di attestare che:
- la pena da eseguire non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena;
- non sussistono le preclusioni di cui al comma 1;
- il condannato abbia fornito l’espresso consenso alla attivazione delle procedure di controllo, nonché a trasmettere il verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio, redatto in via prioritaria dalla polizia penitenziaria e
- se il condannato è sottoposto ad un programma di recuperoo intende sottoporsi ad esso, la documentazione di cui all’articolo 94, comma 1, del testo unico di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre1990,n. 309, e successive modificazioni.
Restano, invece, invariate le fasi procedurali previste dal comma 5 dell’art. 1, l. 199/2010, cui la nuova detenzione rinvia al comma 8, per cui, in sintesi: il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza adottata in camera di consiglio, senza la presenza delle parti (articolo 69-bis della legge n. 354 del 1975), con riduzione del termine per decidere che, secondo la puntualizzazione della Relazione Illustrativa, “è ridotto a cinque giorni”, quando in realtà il magistrato decide “non prima di cinque giorni” dalla richiesta del parere al P.M. (comma 2, art. 69-bis, O.P.).
L’ordinanza è quindi notificata al condannato e al difensore e comunicata al P.M., i quali entro dieci giorni possono interporre reclamo al Tribunale di sorveglianza.
Note conclusive e criticità
Le disposizioni introdotte dal Governo con il d.l. 18/2020 si indirizzano nella prospettiva di una diminuzione delle presenze di ristretti nelle carceri.
Al 28 febbraio erano, infatti, presenti nelle carceri italiane, 61.230 detenuti a fronte di 50.931 posti disponibili. Si tratta, quindi, di almeno 10.000 persone ristrette oltre la capienza regolamentare e, dunque, in una situazione di patologico e grave sovraffollamento.
Per raggiungere il risultato auspicato, il Governo ha optato per disposizioni che favorissero un deflusso controllato ma consistente dagli istituti di pena. Tuttavia, l’intervento messo in campo risulta troppo limitato nel suo potenziale spettro operativo.
La sola modifica della esecuzione domiciliare già prevista dalla legge n. 199/2010, è, infatti, destinata ad un numero non rilevante di soggetti detenuti e difficilmente potrà conseguire un risultato apprezzabile in termini di contenimento dell’attuale sovraffollamento degli istituti di pena.
Oltretutto, l’intervento governativo, per come strutturato, presenta profili di non trascurabile criticità:
- Potenziali beneficiari della misura sono solo i detenuti il cui residuo pena non superi i diciotto mesi di reclusione. Pertanto, anche a ipotizzare che l’intero potenziale bacino di fruitori effettivamente accedesse al beneficio, il numero di presenze negli istituti di pena resterebbe pur sempre al di sopra della capienza consentita. È evidente, quindi, che l’intervento si palesa inadeguato a erodere in maniera apprezzabile le cifre del sovraffollamento.
- Le nuove disposizioni, derogando al precedente disposto, precisano che la misura domiciliare non può essere applicata dal magistrato di sorveglianza di ufficio, ma solo “su istanza”. L’incertezza circa la possibilità per la magistratura di sorveglianza di intervenire motu proprio, rende la previsione poco coerente con l’attuale fase emergenziale.
- La potenzialità applicativa dell’istituto è limitata in termini paradossalmente più rigorosi di quanto preveda la vecchia disciplina, come si evince dall’ampio “catalogo” delle esclusioni.
- La nuova disciplina nulla prevede per i tantissimi casi di detenuti che – pur potenziali fruitori del beneficio domiciliare – non dispongono di un domicilio idoneo.
- La nuova disciplina sembra non considerare la cronica carenza dei dispositivi di controllo elettronici, resi ausilio obbligatorio ai fini dell’accesso alla misura alternativa.
Dott.ssa Giulia Spadafora