Coronavirus ed emergenza carceri – Parte 2: Il Decreto Ristori. Cosa Cambia?

Coronavirus ed emergenza carceri

Decreto-Legge 28 ottobre 2020, n. 137. Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID – 19.

Il nuovo incremento dei contagi nella nuova fase emergenziale che il Paese ha affrontato a partire dalla seconda metà del mese di settembre ha indotto il Governo a reintrodurre misure, la cui vigenza era stata circoscritta nel tempo in ragione della presunta transitorietà della ben nota pandemia, volte a deflazionare la popolazione carceraria nell’ottica di riduzione delle possibilità di contagio.

Uno degli ultimi interventi normativi effettuati dal Governo, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, è il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 (cd. Decreto Ristori), con il quale vengono a riproporsi, in materia penitenziaria, alcune misure già in precedenza varate con il D.L. Cura Italia.

Quali gli elementi di novità rispetto alla previgente normativa, la cui validità è cessata il 30 giugno 2020, e quali invece gli istituti integralmente riproposti?

La Detenzione Domiciliare ex art. 30 del D.L. 137/2020

Una delle riproposizioni, quasi integrali, rispetto al Cura Italia è certamente l’istituto della detenzione domiciliare.

A tale proposito, l’art. 30 del D.L. 137/2020 – il citato Decreto Ristori – enuclea una disciplina che riprende quanto già previsto dall’art. previsto dall’art. 123 del d.l. 18/2020 (Decreto Cura Italia), disciplinante la modalità domiciliare di esecuzione delle pene detentive di breve durata.

Si tratta, anche in questo caso, di una norma destinata a rimanere in vigore per un lasso di tempo estremamente circoscritto. Originariamente destinata ad operare sino al 31 dicembre 2020, infatti, l’efficacia della stessa disposizione è stata prolungata, non di molto, dalla citata legge di conversione, sino al 31 gennaio 2021.

La circoscritta vigenza temporale dell’istituto in esame contribuisce a delinearne con chiarezza la specifica ratio: non si tratta, infatti, di una particolare modalità di esecuzione della pena che risponde alla tradizionale funzione premiale/rieducativa della stessa ma, piuttosto, di un rimedio di matrice emergenziale che consente a stretto giro di ovviare alle problematiche connesse alla potenziale diffusione dei contagi nelle carceri.

Lo scopo, pertanto, del beneficio in questione è solo e soltanto quello di deflazionare la popolazione carceraria. Per tale ragione il legislatore ha semplificato di molto l’iter procedimentale previsto per la concessione del beneficio in esame, già contemplato dalla L. 199/2010.

Rispetto alla cd. “misura genetica”, le cui disposizioni si applicano in quanto compatibili (comma 8, art. 30) ad eccezione dei commi 1, 2 e 4, quella neointrodotta presenta infatti una istruttoria estremamente semplificata.

Ripercorriamo, dunque, brevemente i tratti salienti dell’istituto in esame, rinviando per quanto non evidenziato in questa sede all’articolo “Corononavirus ed emergenza carceri: la nuova detenzione domiciliare introdotta dal Cura Italia.” – aggiungere link.

Come già previsto dal comma 1 dell’art. 123 del D.L. Cura Italia, l’area di potenziale applicazione dell’istituto in questione, in sovrapposizione a quanto già disciplinato dalla L. 199/2010, è circoscritta ai casi in cui la pena detentiva non sia superiore a mesi 18, anche se costituente parte residua si maggior pena.

Sembra inoltre che, a mente del comma 1, art. 30 del D.L. Ristori, la misura della detenzione domiciliare possa essere applicata, al ricorrere dei presupposti, solo previa istanza di parte (dunque, dall’interessato o dal suo difensore).

Anche l’iter istruttorio, che riconosce alla direzione del carcere un ruolo centrale, e più in generale il procedimento applicativo della misura in esame, ricalcano integralmente la disciplina già prevista dal precedente decreto cura Italia.

Sotto il profilo delle varie ipotesi di esclusione soggettiva del beneficio in esame, il D.L. Ristori non fa che riproporre pedissequamente, al comma 1 art 30 lettere a), b), c), d), e) ed f), quanto già disciplinato dall’art. 123 del D.L. 18/20.

Cosa dunque cambia?

L’elemento di significativa novità attiene alla neutralizzazione della possibilità di operare il cd. “scioglimento del cumulo giuridico” tra le pene previste per i reati “più gravi” e quelle per i reati “comuni” al ricorrere di peculiari ipotesi di connessione.

Ma veniamo al testo del Decreto.

Al comma 1, let. a), dell’art. 30 D.L. Ristori, il già nutrito elenco di preclusioni alla misura viene ampliato nella sua dimensione operativa.

Come anzidetto, viene espressamente esclusa la possibilità di procedere allo “scioglimento del cumulo giuridico” tra le pene per i reati più gravi – in particolare quelli “commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, nonché ai delitti di cui all’articolo 416 bis del codice penale” – e quelle per gli altri reati, qualora ai primi connessi ex art. 12, let. b) e c), c.p.p.

Ha precisato, infatti, il legislatore che la predetta esclusione soggettiva dal beneficio si applica “anche nel caso in cui i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti quando, in caso di cumulo, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell’esecuzione la connessione ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettere b e c, del codice di procedura penale tra i reati la cui pena è in esecuzione”.

Tale previsione normativa solleva non poche criticità, ponendosi in aperto contrasto non solo con i principi di uguaglianza, di ragionevolezza e di funzione risocializzante della pena, ma anche con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che di quei principi rappresenta l’espressione.

Ed infatti, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione avevano, già nel lontano 1999, censurato la tesi dell’inscindibilità del cumulo giuridico, rilevando come la stessa fosse fautrice di una ingiustificabile disparità di trattamento tra i detenuti a seconda dell’eventualità, meramente casuale ma non rilevante da un punto di vista sostanziale, “di un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo, ovvero di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle singole condanne”.

 

Così come anche già la Corte Costituzionale aveva accolto con favore l’operatività del meccanismo di scorporo durante la fase esecutiva della pena, dal momento che “non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall’art. 4 bis abbia creato una sorta di status di “detenuto pericoloso” che permei di sé l’intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna”.

Non si comprende, dunque, per quale ragione il citato Decreto abbia circoscritto, e di molto, il perimetro applicativo della detenzione domiciliare “speciale”, neutralizzando la possibilità di operare lo scorporo.

Tanto più che tale istituto trova la sua ragion d’essere nell’attuale periodo emergenziale, e certamente la sua modulazione nelle linee principali, lungi dall’avere un carattere rieducativo/premiale, risponde alla prioritaria esigenza di deflazionare con rapidità la popolazione carceraria.

Le licenze premio ai condannati semiliberi ex art. 28 D.L. 137/2020

Oltre all’istituto della detenzione domiciliare, il D.L. 137/2020 ha riproposto, similmente a quanto già faceva l’art. 124 del D.L. 18/2020, il beneficio delle licenze premio ai condannati semiliberi.

L’art. 28, comma 1, del Decreto Ristori estende, con chiara finalità deflattiva della popolazione carceraria, la durata delle licenze premio – consentendo pertanto che la stessa superi il limite di 45 giorni previsto dall’art. 52 della L. O.P.

Va da sé che l’eccezionalità del beneficio non consiste nell’ampliamento della gamma di fruitori dello stesso, ma semplicemente nell’allungamento della durata della licenza premio, con il chiaro obiettivo di favorire la permanenza continuativa all’esterno dell’istituto di pena del semilibero.

In ogni caso, precisa il comma 2 dell’art. 28, la durata del beneficio in questione non può estendersi oltre la data del 31 gennaio 2021.

Permessi premio dalla durata straordinaria ex art. 29 del D.L. 137/2020

Con disposizione invece innovativa, l’art. 29 del D.L. 137/2020 ha ampliato la durata dei permessi premio, concessi ai detenuti al ricorrere dei presupposti previsti dall’art. 30 ter della L. O.P., stabilendo espressamente una “deroga ai limiti temporali indicati dai commi uno e due dell’art. 30 ter”.

Ricordiamo che l’art. 30 ter prevede una durata differenziata dei permessi a seconda che i fruitori siano condannati adulti o minori. Nel primo caso, la durata del singolo permesso non può eccedere i 15 giorni, né superare il tetto dei 45 giorni all’anno (comma 1, art. 30 ter); mentre nel caso dei condannati minorenni, i limiti sono estesi rispettivamente a 30 e 100 giorni (comma 2, art. 30 ter).

Anche in questo caso, il comma 1 dell’art. 29 del Decreto Ristori ha circoscritto l’operatività della predetta disposizione alla data del 31 dicembre 2020, poi estesa sino al 31 gennaio 2021 per espressa previsione della legge di conversione.

Coloro che possono fruire del beneficio in questione, a norma del comma 1 del citato articolo 29, sono:

  • I condannati cui siano stati già concessi i permessi di cui all’articolo 30 – ter della L. O.P.;
  • Coloro che siano stati assegnati al lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 della menzionata Legge;
  • Coloro che siano stati ammessi all’istruzione o alla formazione professionale all’esterno secondo quanto previsto dall’articolo 18 del D. Lgs. 2 ottobre 2018, n. 121.

Ai fini della concessione del beneficio invocato è sufficiente, dunque, che ricorra uno dei presupposti sopra menzionati, considerati chiaramente come alternativi, con l’effetto di ampliare la platea dei potenziali destinatari della misura in questione.

Peraltro, rispondendo tale disposizione ad una logica squisitamente emergenziale, la limitazione dei fruitori del beneficio a quanti, ad esempio, abbiano già ottenuto i permessi premio “ordinari” o siano stati ammessi al lavoro all’esterno, si spiega facendo riferimento all’esigenza di garantire l’elevato livello di affidabilità dei potenziali fruitori del permesso “straordinario”.

La formulazione della norma risulta così indicativa della delicata esigenza di bilanciare l’esigenza di alleggerire la pressione carceraria con quella di garantire comunque un elevato livello di sicurezza.

Quanto alle preclusioni dal beneficio in esame torna un ampio catalogo di esclusioni di carattere soggettivo (art. 29, comma 2).

In particolare, le predette disposizioni non trovano infatti applicazione in riferimento ai soggetti condannati per taluno dei delitti più gravi e, più precisamente, indicati:

  • “dall’art. 4-bis della l. 26 luglio 1975, n. 354”, che enuclea un’ampia gamma di reati tradizionalmente definiti ostativi, in quanto preclusivi di una serie di benefici penitenziari.
  • “dagli articoli 572 e 612 bis del codice penale” (che, rispettivamente, prevedono il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori).

Con riferimento specifico ai condannati per taluni gravi delitti, inclusi nell’ampio catalogo dei reati cd. ostativi di cui all’articolo 4 bis della L. O.P., viene altresì neutralizzata la possibilità di operare lo scioglimento del cumulo giuridico.

 

In modo analogo a quanto già previsto in tema di detenzione domiciliare, infatti, il comma 2 dell’articolo 29 preclude l’accesso al beneficio in questione a tutti coloro che siano stati condannati per delitti “commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza e ai delitti di cui all’art. 416 – bis del codice penale, o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste” precisando come l’accesso al beneficio sia precluso “anche qualora i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti quando, in caso di cumulo sia stata accertata la connessione ai sensi dell’art. 12, comma 1, let. b) e c) del codice di procedura penale”.

Anche in tale ultimo caso deve essere sollevata una nota critica.

Non è chiara la preclusione di neointroduzione al divieto di scioglimento del cumulo giuridico nelle descritte ipotesi di connessione.

Una tale previsione, infatti, oltre ad essere censurabile sotto il profilo della ragionevolezza e della uguaglianza, si pone in netto contrasto con la stessa finalità “svuota – carceri” che il Decreto Ristori intende, o avrebbe inteso, perseguire.

Ed invece, il nutrito elenco di preclusioni alla concessione dei benefici della detenzione domiciliare e dei permessi straordinari, nonché da ultimo l’innovativa neutralizzazione dello scioglimento del cumulo giuridico in presenza di taluni delitti, circoscrivono di molto l’efficacia dell’intervento governativo.

5.01.21

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